Il Liceo “D’Azeglio” è una delle scuole “storiche” di Torino: i suoi inizi risalgono al 1831 quando nella zona orientale della città, area di ampliamento nei primi decenni dell’Ottocento, è istituito il Collegio di Porta Nuova. Nei primi anni funzionano solo quattro Classi di grammatica (terza, quarta, quinta, sesta); poi, a partire dal 1838–39, viene aggiunta una Classe di umanità; infine, dall’anno scolastico 1845–46, nel Collegio è possibile completare il ciclo preparatorio frequentando anche la Classe di retorica. Nel 1852 il Collegio di Porta Nuova viene trasferito in via Arcivescovado, presso la Parrocchia della Madonna degli Angeli; più tardi, nel 1857, trova collocazione in quella che da allora è rimasta la sua sede, con il nome di Collegio Municipale Monviso. A partire dal 1860 prende il nome di Regio Collegio Monviso.
È cosa interessante, consultando i registri di quei lontani anni ancora conservati nell’Archivio storico del Liceo, ripercorrere la crescita della Scuola e i mutamenti per quanto riguarda i programmi. Da un insegnamento quasi esclusivamente grammaticale e profondamente imbevuto di principi religiosi (gli Studenti dei primi anni dovevano presentare biglietti di confessione e di comunione per poter proseguire gli studi), si passa, con le leggi che attribuiscono il controllo sull’insegnamento alle istituzioni pubbliche (i Ginnasi e i Licei vengono assegnati ai Comuni nel 1848), ad un corso di studi che anticipa quello dei moderni Ginnasi e che si basa sull’italiano, il latino, il greco, l’aritmetica e l’algebra, la storia e la geografia, la religione.
Con il crescere della popolazione torinese, dopo gli anni difficili del trasferimento della capitale a Firenze e a Roma, intorno agli anni Ottanta si sente il bisogno di creare un nuovo Liceo Classico (dopo il “Cavour” e il “Gioberti”, risalenti al 1859): nel 1882 viene così fondato il “D’Azeglio”, intitolato al grande uomo politico del Risorgimento, che comprende i cinque anni di corso ginnasiale (gli attuali tre anni di Scuola Media e i due ginnasiali) e i tre del corso liceale. Gli Studenti del Liceo degli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento appartengono, per lo più, alla borghesia che abita i palazzi della Torino umbertina e liberty (la zona della Crocetta, il corso Re Umberto,…): anche in questo caso l’analisi dei registri permette di ricostruire qualcosa di quegli anni; mette in evidenza, ad esempio, come l’insegnamento fosse quasi completamente riservato ai ragazzi. Le ragazze frequentavano scuole femminili o ricevevano una forma di insegnamento familiare. Del resto l’istruzione paterna (tramite un precettore) era ancora diffusa anche tra i maschi: talvolta si frequentava la scuola pubblica solo per sostenere gli esami.
Al nome del “D’Azeglio” è legato poi un importante fatto sportivo: un gruppo di Studenti della terza e della quarta Classe del Ginnasio, che si ritrovavano nella vicina Piazza d’Armi per giocare a football, sport recentemente importato dall’Inghilterra, fondarono nel 1897 la Juventus, scegliendo una divisa con camiciola rosa e cravattina nera. Nel 1900 la squadra affrontò il suo primo campionato con il nome di Sport Club Juventus. Nell’attuale sede della Juventus, in corso Galileo Ferraris, è conservata la panchina che si trovava un tempo in corso Re Umberto, sulla quale si sedevano i ragazzi che hanno fondato la squadra.
La Scuola visse poi gli anni difficili della guerra: nel corridoio del pianterreno una lapide ricorda, in un lungo elenco, i nomi degli Studenti caduti durante le battaglie della Prima Guerra Mondiale. Il periodo tra le due guerre mondiali, in particolar modo gli anni Venti, costituisce l’epoca più illustre della Scuola: sui banchi e sulle cattedre dell’istituto sono passati moltissimi personaggi che hanno avuto un ruolo politico o culturale di primissimo piano non solo nella storia torinese, ma in quella italiana in genere. Tra gli Insegnanti si ricordano, in modo particolare:
Umberto Cosmo
illustre dantista (autore di un’introduzione a Dante che si legge ancora oggi con profitto), libero Docente di letteratura italiana all’Università, autore di una nobilissima lettera nel 1926 (di cui la Scuola conserva una copia) con la quale, costretto ad allontanarsi dall’insegnamento per motivi politici, si congeda rivendicando i principi ideali che l’avevano sempre guidato; ispiratore di una lettera di solidarietà a Benedetto Croce che Mussolini aveva definito “imboscato della storia” per il suo discorso di opposizione ai Patti Lateranensi (lettera firmata anche da Massimo Mila, Franco Antonicelli, Umberto Segre, Aldo Bertini, Paolo Treves, Ludovico Geymonat);
Augusto Monti
Docente di italiano e latino nella sezione B, autore di un testo di memorie, “I miei conti con la scuola”, in un capitolo del quale, “Torino 1923–1932. Scuola di resistenza”, ricostruisce il clima di quegli anni in cui il Liceo, grazie all’incontro di Studenti e di Docenti, era divenuto una fucina di cultura, di politica in senso alto e di naturale antifascismo;
Zino Zini
tre lauree (legge, lettere e filosofia), Professore di filosofia al “D’Azeglio”, Docente all’Università di Torino, socialista, consigliere comunale dal 1906 al 1919, collaboratore de “L’Ordine nuovo” di Antonio Gramsci;
Franco Antonicelli
scrittore e critico, più volte supplente al “D’Azeglio” anche se privo di tessera del P.N.F., antifascista, presidente nel 1945 del Comitato Piemontese di Liberazione Nazionale, direttore dal 1932 della collana “Biblioteca europea” dell’editore Frassinelli in cui pubblica, ad esempio, “L’armata a cavallo” di Babel e il “Moby Dick” di Melville tradotto da Pavese (i volumi di questa collana, con le originali copertine disegnate da Mario Sturani, Allievo del “D’Azeglio” e amico di Pavese, da Gigi Chessa e da altri importanti artisti, sono conservati nella biblioteca della Scuola), animatore della casa editrice “Francesco De Silva” dal 1943, con i tipi della quale pubblica la prima edizione di “Se questo è un uomo”, rifiutata da Einaudi (anche questo volume è presente nella biblioteca della Scuola).
E tra gli Studenti basti citare Cesare Pavese, Giulio Einaudi, Leo Pestelli, Massimo Mila, Luigi Firpo, Vittorio Foa, Tullio Pinelli, Giancarlo Pajetta, Renzo Giua, Emanuele Artom, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, una concentrazione di giovinetti di valore del tutto fuori dall’usuale (Angelo D’Orsi, “L’itinerario di Leone Ginzburg”), di cui sarebbe troppo lungo parlare.
Molte testimonianze ricordano quegli anni: la passione con la quale Monti faceva vivere i classici, i legami che si stringevano tra gli Studenti – e talvolta anche con gli Insegnanti – destinati a durare al di fuori delle mura della Scuola (sabato pomeriggio gli Allievi e gli ex-Allievi di Monti si trovavano con il “Profe” in un caffè di via Rattazzi per discutere di letteratura, filosofia e cinema, continuando quella “vita di cultura” che era incominciata al Liceo), la scoperta dei testi che segnano la vita, magari attraverso la frequentazione della biblioteca scolastica (di cui era bibliotecario il Professor Monti), il rifiuto di cedere al conformismo del regime. Tra i molti episodi di particolare interesse storico, di cui si trova traccia nei verbali conservati dalla Scuola, la vicenda di Giancarlo Pajetta, espulso per volontà del Ministero della Cultura e dell’Istruzione Popolare da tutte le scuole del Regno, con l’accusa di propaganda sovversiva. Forse la testimonianza più commossa di quel periodo è quella di Augusto Monti, nel già citato capitolo de “I miei conti con la scuola”:
Fu bene una fucina di antifascisti il ‘Massimo D’Azeglio’ in quegli anni, ma non per colpa o per merito di questo e quell’Insegnante, ma così, per effetto dell’aria, del suolo, dell’ ‘ambiente’ torinese e piemontese. Quel Liceo era come una di quelle case in cui ‘ci si sente’; dove i successivi inquilini sono visitati nel sonno – e anche da desti – dagli spiriti, dalle anime.
Dopo il 1932, data dell’allontanamento di Augusto Monti, il Liceo vive gli anni del consenso dominante nei confronti del regime. Tra gli Studenti di quegli anni si ricordano, in particolare, Primo Levi, che frequenta la Scuola tra il 1934 e il 1937, e Fernanda Pivano, futura scrittrice e traduttrice di letteratura anglo-americana. Per qualche mese è supplente, nella Classe della Pivano, Cesare Pavese, di cui la ragazza diventerà amica e che la spingerà a tradurre l’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Fernanda Pivano, degli anni del “D’Azeglio”, ricorda vari episodi in “I miei quadrifogli” (Frassinelli, 1999), tra cui l’essere stata rimandata in italiano, insieme a Primo Levi, nella sessione estiva degli Esami di Maturità del 1937. I due scrittori dovettero così sostenere nuovamente la prova d’italiano nella sessione autunnale.
Il 1938 è un anno “tragico” per la Scuola: in conseguenza delle leggi razziali emanate nell’estate, nel settembre di quell’anno non vengono più accolte le iscrizioni degli Studenti “di razza ebraica”. Nei documenti conservati nell’Archivio si trovano indicazioni sui registri “rifiutata l’iscrizione perché di razza ebraica” e un verbale di una riunione del Consiglio dei Professori nel corso della quale si sostituiscono i libri di “autori ebraici” con altri di “autori ariani”: vengono così “espulsi” dalla Scuola testi come la “Storia della letteratura italiana” di Attilio Momigliano. Qualche mese prima della firma delle leggi razziali da parte del re Vittorio Emanuele III, nella Scuola era avvenuto un episodio che aveva scosso le autorità scolastiche torinesi: sulla parete di un bagno del Liceo era comparsa una scritta “Viva Stalin. Abbasso Hitler”: dopo un’indagine interna, si era giunti all’identificazione del responsabile, il giovane Guido Fubini, che, sottoposto ad un vero processo da parte del Preside, nel corso del quale sosterrà di aver scritto quelle parole in conseguenza dei colloqui avuti con un compagno, un giovane ebreo tedesco rifugiatosi in Italia, sarà allontanato da tutte le scuole del Regno, per l’anno 1936–1937. Il padre lo iscriverà l’anno successivo ad un Liceo di Nizza, quasi presagendo quella che di lì a poco sarebbe diventata una necessità.
Negli anni della guerra la storia del Liceo non è segnata da grandi avvenimenti: con la riforma Bottai del 1940 viene istituita la Scuola Media e quindi il Ginnasio-Liceo perde i suoi primi tre anni di corso, assumendo la struttura attuale (IV e V ginnasiale; I, II e III liceale). Sono gli ex-Studenti del Liceo a scrivere pagine memorabili di storia:
Renzo Giua cade nella guerra di Spagna a ventiquattro anni in Estremadura, il 17 febbraio 1938, combattendo in testa al II battaglione della XII Brigata Garibaldi;
Leone Ginzburg, animatore della Resistenza a Roma, viene catturato dai nazifascisti e muore il 5 febbraio 1944 a Regina Coeli in seguito alle torture subite;
Emanuele Artom, partigiano, è ucciso dopo essere stato catturato nel 1944 durante un rastrellamento nelle Valli Valdesi;
Primo Levi viene catturato il 13 dicembre del 1943 con due compagni partigiani a Brusson, in Val d’Aosta, e sarà deportato, perché ebreo, ad Auschwitz. E dalla tragica esperienza di Primo Levi nasce uno dei capolavori della letteratura italiana di tutti i tempi, “Se questo è un uomo”: in un capitolo famoso del libro, “Il canto di Ulisse”, Levi ricorda di aver cercato di insegnare l’italiano a Jean, un suo compagno di lager, recitando e traducendo il canto XXVI dell’ “Inferno” dantesco. La famosa “orazion picciola” “Fatti non foste a viver come bruti, / Ma per seguir virtute e canoscenza”, studiata una volta a scuola (l’Insegnante di italiano di Primo, Azelia Arici, in una sua testimonianza ricorda come la lettura del canto di Ulisse avesse, in quegli anni, un particolare valore “civile”), diventa per Levi emblematica, nella bestialità del lager, della dignità e della grandezza dell’uomo in una condizione di brutale annientamento.
Testimonianze del clima di guerra civile dell’ultima fase della guerra sono la storia di Marilena Grill, Studentessa ginnasiale, che, arruolatasi nelle ausiliarie della Repubblica Sociale, viene uccisa nelle giornate della Liberazione, e il tentativo del Preside di quei giorni, il Professor Giuseppe Corradi, di impedire, chiudendo il portone e ponendosi a guardia di esso, che Studenti e Insegnanti uscissero dalla Scuola aderendo allo sciopero insurrezionale del 18 aprile 1945. Nel dopoguerra il “D’Azeglio” è stato la Scuola dei rampolli dell’aristocrazia torinese e di quelli della borghesia (ma il giornalista e scrittore Vittorio Messori, anche lui Allievo del “D’Azeglio”, racconta in “Il mistero di Torino”, Mondadori, 2004, di non essersi mai sentito “da meno”, nonostante le sue origini “umili”, rispetto ai suoi compagni più agiati, memori questi, forse, che è imperativo torinese “celare piuttosto che esibire”), di Piero Angela, di personaggi della cultura e dello spettacolo. “Il ‘D’Azeglio’ non smentiva la sua fama di vivaio di una Torino che allevava ingegni, per poi, troppo spesso, cederli ad altre città. Ma il marchio subalpino era già stato impresso, indelebile”. (V. Messori, cit.)
La vita del “D’Azeglio”, profondamente legata alla cultura torinese e italiana e ai mutamenti della società, ne ha rispecchiato i momenti di crisi e gli slanci, le difficoltà e gli entusiasmi. Il Liceo è cresciuto, a partire dagli anni Sessanta, fino a superare il migliaio di Allievi, cosa che ha portato a costruire una nuova ala all’edificio e, per qualche anno, ad avere una succursale.
Il bacino d’utenza si è ampliato fino a comprendere la prima cintura torinese e alcune località più lontane, ben servite dai mezzi pubblici. Da Scuola per pochi Allievi, selezionati dal censo o da doti particolari, il Liceo si è trasformato in una Scuola che, pur non dimentica della tradizione, sa guardare al nuovo in una pluralità di prospettive.
Nelle aule del “D’Azeglio” si sono formati esponenti della cultura laica, come Norberto Bobbio, e di quella cattolica, dal cardinale Agostino Richelmy (Studente dal 1860 al 1862) al già citato Vittorio Messori, ai filosofi Augusto Del Noce e Rocco Buttiglione; della cultura socialista e comunista, basti ricordare Giancarlo Pajetta, e di quella liberale, come Luigi Firpo; della cultura regionale, da Vittorio Bersezio autore della commedia “Le miserie ‘d monsù Travet” a Giacomo Noventa autore di testi poetici in “lingua veneziana”, a quella europea e mondiale, grazie alle traduzioni dall’anglo-americano di Pavese e della Pivano o dal russo di Leone Ginzburg; e poi Professori universitari di tutte le discipline (economisti come Mario ed Enrico Deaglio, giuristi come Paolo Montalenti o Gian Savino Pene Vidari, politologi come Lucio Levi, storici come Sergio Pistone, storici del teatro come Roberto Alonge, l’italianista Carlo Ossola – attualmente Professore al Collège de France – per non citare che alcuni Docenti dell’Università di Torino), il premio Nobel per la medicina Salvatore Luria, il beato Piergiorgio Frassati.
Nel 1975, con i Decreti Delegati che introducono nella istituzioni scolastiche forme di partecipazione di Studenti e Genitori, diviene primo presidente del Consiglio d’Istituto Primo Levi, in un momento in cui la Scuola è fortemente scossa da un clima di contestazione: una delle prime decisioni del Consiglio d’Istituto, rinnovando “l’impegno antifascista del Liceo, sempre distintosi, anche durante la dittatura, per la ferma posizione democratica dei suoi Insegnanti e dei suoi Studenti”, è quella di ricordare ufficialmente il 25 aprile con un’assemblea aperta sul tema “Resistenza ieri e oggi”, “denunciando il grave clima di tensione creato in tutta la nazione da provocatori collegati alla strategia della tensione.”
Oggi più che mai il “D’Azeglio”, nella prospettiva di una scuola sempre al passo coi tempi, si presenta come il Liceo che, non dimentico dei valori della cultura classica e civile su cui fonda le proprie radici (i “fantasmi” non cessano di rivendicare i propri diritti), sa guardare al nuovo in tutti i suoi aspetti, in una prospettiva torinese, italiana, europea.